Fiabe, miti e leggende della Cina

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 12/9/2011, 11:39     +1   -1

Founder di Spam&Uova

Group:
I guardiani dei cieli
Posts:
12,413
Reputation:
+14
Location:
Non vengo da nessuna parte...

Status:



Fiabe, miti e leggende della Cina
a seguire alcune fiabe, brani e leggende della tradizione e cultura cinese, della Cina.


Fiabe e favole cinesi.
Le credenze tradizionali cinesi


Le fiabe come accennato anche nelle altre sezioni, sono frutto di tradizioni e credenze, spesso popolari che rispecchiano la storia del paese, in questo caso della Cina. Le fiabe e favole cinesi e asiatiche provengono da una storia millenaria, costellata da cultura, credenze e tradizioni antiche. Da questi racconti e raccolte di fiabe tradizionali puoi scoprire perle di saggezza orientale tramandata tramite fiabe e favole asiatiche, cinesi, orientali.

Tradizioni cinesi nella storia; l'esercito di terracotta cinese.
Nel 1974, scavando il terreno per costruire un pozzo, alcuni contadini di una comune presso Xian fecero una delle più sensazionali scoperte dell'archeologia cinese. Sotto di loro si trovava un intero esercito di guerrieri in terracotta da 6 000 a 8 000, di grandezza naturale e tutti diversi l'uno dall'altro! Questi guerrieri, insieme a cavalli, carri ecc., tutti in terracotta, costituiscono il corredo della tomba di Qin Shi Huang Di, il grande imperatore che unificò la Cina nel III secolo a.C.

Era tradizione, in tempi molto antichi, per i sovrani soprattutto di alcuni popoli delle steppe asiatiche, farsi seppellire con la loro guardia del corpo, ancelle, cavalli, ecc., tutti in carne ed ossa, perché potessero far loro compagnia nell'oltretomba. Al tempo di Qin Shi Huang questa usanza e tradizione piuttosto barbarica era fortunatamente tramontata: l'imperatore cinese si accontentava di sostituire persone e animali veri con dei facsimili in terracotta.

tradizionicinesi
Fiabe tradizionali cinesi e usanze nel corso della storia in Cina.




Le Fiabe cinesi


La figlia dei draghi
(una favola cinese, della Cina)

All’indomani della separazione tra il cielo e la terra, vivevano nel firmamento nove draghi giganteschi che venivano sovente a divertirsi tra le nuvole multicolori. Quando questi nei loro giochi si avvicinavano alla terra, tutto ciò che la copriva si disegnava sotto i loro occhi: le montagne, i fiumi, gli alberi, le piante, gli animali…
Un giorno, furono affascinati da una gemma che sulla terra brillava di tutti i suoi bagliori ora rossi, ora verdi, ora violetti. Come era magnifica! La natura aveva voluto che i draghi avessero un debole per le pietre preziose, e così si precipitarono facendo a gara su questo tesoro per appropriarsene. Ma, cosa strana, la pietra che vedevano così bene dal cielo, scomparve al loro arrivo sulla Terra, sommersa nell’immensa foresta.

Non volendo ritornare a mani vuote, i draghi restarono per continuare le loro ricerche.
Il tempo passava senza che se ne accorgessero, e a forza di persistere nella ricerca di questo gioiello, finirono per metamorfizzarsi nel fiume Lancang. È per questo motivo che questo fiume si chiama anche il Fiume dei Nove Draghi.
A fianco del Fiume dei Nove Draghi si ergeva un enorme picco chiamato Picco Dorato, ai piedi del quale c’era una grotta estremamente profonda, detta Grotta della Roccia d’Oro. Essendo questo un luogo spazioso e luminoso, i draghi decisero di trasformarlo in un palazzo e di istallarvisi.
Parecchi anni più tardi uno di loro, il Re dei Draghi bianchi, mise al mondo una bambina. Questa, molto sincera, vivace e graziosa, aveva la pelle così bianca e fresca come quella delle radici di loto e gli occhi brillanti come delle perle. All’età di sedici anni la figlia dei draghi, annoiata di vivere sempre nel palazzo sotto il fiume, usciva sovente dalle acque per giocare. Un giorno, salita in superficie, scoprì lungo le rive dei ciottoli bianchi, delle sensitive verdeggianti, dei fiori rossi e degli alberi dai frutti color arancio.

Ella si divertiva così tanto che si dimenticò che doveva tornare indietro. Dapprima, si divertì un mondo lungo il fiume, poi, desiderosa d’andare vedere altrove, giunse, seguendo un sentiero sinuoso, in cima ad una montagna a nord del fiume. Oltre la montagna scoprì una pianura verdeggiante coperta da palme, da bambù nani e da piante di areca molto slanciate.
Estasiata, la figlia dei draghi continuò ad avanzare. Arrivata davanti alla pianura, vide degli uomini che tiravano dei buoi per arare, delle donne trapiantare del riso con dei cesti sulla schiena, dei bambini e dei bufali bagnarsi in uno stagno. Quanto la vita sulla terra era gioiosa e animata! A quella vista, presa da una grande passione per quel tipo esistenza, non ebbe più voglia di rientrare al Palazzo dei draghi.
Proprio in quel momento, le si avvicinò un giovanotto dai che camminava su un sentiero tra i campi conducendo un bue. Aveva all’incirca vent’anni, ed era vestito con una giacca da contadino, con dei pantaloni voltati in su. Portava una fascia sulla testa e aveva le mani piene di fango. Vedendolo, la figlia dei draghi comprese immediatamente che era lavoratore ed onesto. E senza saperlo se ne innamorò. Gli andò incontro e chiese timidamente:
- Fratello coltivatore, mi potresti dire il nome di questo luogo?
Il ragazzo si fermò e rispose molto educatamente:
- È la pianura Mengyang dei Dai. Da dove vieni, sorella? Perché sei tutta sola?
La figlia dei draghi avrebbe ben voluto dirgli la verità ma per timore di non essere creduta, rispose in maniera sibillina:
- Fratello coltivatore, abito vicino al fiume Lancang. Questa mattina, sono andata a cogliere delle verdure selvatiche nella montagna vicino al fiume. Là, mi sono perduta ed eccomi qui per caso…
Nel sentirla parlare in tale maniera, il ragazzo le disse affabilmente:
- Vuoi venire a riposarti un po’ a casa mia? Devi essere molto stanca. Casa mia, quella palafitta, è piccola ma comunque ci sono degli sgabelli per gli ospiti.
La figlia dei draghi abbassò la testa, molto felice, e si lasciò condurre dal giovane.
Il ragazzo si chiamava Yan Maoyang. I suoi genitori erano morti da molti anni. Senza fratelli, viveva solo in una piccola casa di bambù. Aveva lavorato come guardiano di buoi sin dall’infanzia e sapeva già arare la terra all’età di dieci anni. Era povero ma di grande bontà. Quando le persone avevano delle difficoltà, era sufficiente dire una sola parola perché lui andasse in loro aiuto. Tutti gli abitanti del villaggio lo trovavano molto simpatico. Parecchie donne molto premurose avevano da molto tempo l’intenzione di aiutarlo a fondare una famiglia. Ma non avevano ancora trovato la ragazza giusta.

Il sole era già tramontato e gli uccelli sarebbe ben presto ritornati al loro nido. I paesani, stupiti di veder Yan Maoyang rientrare con una bella ragazza, andarono tutti sul balcone per guardarli. Il ragazzo era un po’ infastidito ma per niente imbarazzato. «È naturale, si disse, condurre a casa qualcuno che si è smarrito, perché dovrei infastidirmi?»
Rientrato a casa, Yan Manyang depose una catinella d’acqua sul balcone e chiese alla ragazza di lavarsi i piedi. Poi, dispose una tavola rotonda di striscioline di giunco sulla quale mise una ciotola di riso glutinoso, della zuppa di germogli di bambù e dei cetrioli salati.
- Sorella smarrita, disse con tenerezza, avrai probabilmente fame dopo aver digiunato tutto il giorno, vieni subito a mangiare qualcosa!
Vedendo che la giovane era arrossita e sembrava confusa, aggiunse:
- Queste verdure selvatiche e la zuppa fredda non sono certamente molto appettite, ma il riso glutinoso, però, è buono, vieni ad assaggiarne!
- Fratello coltivatore, come posso ringraziarti! Esclamò la figlia dei draghi. Era la prima volta che mangiava il cibo del mondo terrestre e lo trovava migliore di quello del Palazzo dei draghi.
Finito di mangiare, era già buio. L’orfano si mise in agitazione. Cosa sarebbe accaduto se un uomo pieno di salute avesse dormito con una bella ragazza sotto lo stesso tetto? Ma la notte gli impediva di riaccompagnarla a casa.
La figlia dei draghi era intelligente, e si era già accorta dell’angoscia del giovane. Pensando che era giunto il momento della verità, gli disse con franchezza e tenerezza:
- Fratello coltivatore, scusami; in realtà io sono la figlia dei draghi e vivo nella Grotta della roccia d’oro del fiume Lancang. Il desiderio per la vita umana mi ha spinto a venire sino qui. Ti supplico di tenermi, diventerò volentieri tua moglie e ti coprirò di cure e tenerezza.
A queste parole, Yan Maoyang fu costernato. Come era possibile che questa graziosa figliola fosse la figlia dei draghi del fiume Lancang? Scettico, egli la interrogò e rinterrogò per esserne certo. Ed ogni volta la giovane giurava di dire la verità.
Yan Maoyang non insistette più. Che quello che diceva fosse vero o falso, egli decise di rispondere alla preghiera della ragazza. Così le disse sinceramente:
- Figlia dei draghi, tu hai un’anima pura come una goccia d’acqua! Ma io sono un uomo molto povero. Hai pensato alle difficoltà alle quali andrai incontro se vivrai con me?
- Se si ama veramente, rispose la figlia dei draghi, il più aspro dei frutti diventa dolce nella bocca degli innamorati.
Essi procedettero alla cerimonia nuziale la sera stessa.

L’indomani, a questa notizia, i paesani andarono a felicitarsi con dei fiori, del riso dell’ultimo raccolto e dello zucchero rosso in polvere. Vedendo che questi contadini erano tutti molto onesti e benevoli, la giovane sposa giunse le mani per esprimere loro i suoi ringraziamenti sinceri:
- Mille volte grazie per avermi dato il diritto d’asilo nel vostro villaggio malgrado la mia bruttezza. A partire da oggi, se voi avrete delle difficoltà, io farò del mio meglio per aiutarvi.
Queste parole colmarono di gioia i paesani che cominciarono ad esprimere i loro desideri:
- Ebbene, figlia dei draghi, dacci più pioggia, il nostro villaggio non ha abbastanza risorse d’acqua, il trapianto del riso non si può fare senza la pioggia, implorò un vecchio.
- E poi, proseguì una nonna, la gente di Mengyang non sa nuotare né condurre le zattere. Quando abbiamo bisogno di recarci in visita dai nostri parenti sull’altra riva del fiume, non potresti aiutarci ad attraversare il fiume?
La nuova venuta acconsentì con gioia.
Da allora, si dice, il tempo divenne molto favorevole per la risicoltura nel villaggio Mengyang. Quando la gente di Mengyang aveva voglia di andare al villaggio Jinghong, doveva solo gridare: «Sono del villaggio Mengyang, che la figlia dei draghi abbia la gentilezza di aiutarmi ad attraversare il fiume», perché apparisse un ponte sul fiume.

Un anno più tardi, la figlia dei draghi era incinta. I paesani andavano sovente a trovarla a casa, augurandole di mettere al mondo un neonato paffuto senza difficoltà. Ma proprio in quel periodo accadde qualcosa di catastrofico.
Con lo scopo di farsi costruire un altro palazzo, il nuovo capo del villaggio Jinghong ordinò a tutti gli uomini del villaggio di andare ad abbattere il legname necessario sulle montagne. Un mese dopo, essi ne avevano già raccolto la quantità necessaria. Ma al momento di attraversare il fiume, le zattere di bambù furono rovesciate dalle onde e tutto il carico di legname cadde nel fiume Lancang.
I battellieri, diverse migliaia, si adoperarono per recuperare tutto quel legno per novantanove giorni, ma fu tutta fatica inutile. Come fare? Il capo del villaggio Jinghong era molto inquieto, quando un uomo molto intelligente andò a suggerirgli una soluzione:
- Mio signore, gli disse, io mi reco sovente al villaggio Mengyang per rendere visita a dei parenti. Ho saputo che là un giovanotto ha sposato la figlia dei draghi. Se si chiedesse aiuto a quest’uomo, forse si ritroverebbe facilmente il legno perso nel fiume.
A queste parole, il capo fece chiamare immediatamente Yan Maoyang.
Costui era un uomo di cuore. Era sempre disponibile. Ma questa volta egli esitò, poiché sua moglie era incinta di nove mesi e avrebbe ben presto partorito. Ma il messaggero lo implorò tanto e ancor di più:
- Se noi non possiamo recuperare il legname, il capo del nostro villaggio ci farà picchiare sino alla morte. Abbiate pietà di noi e aiutateci a venirne fuori.
La figlia dei draghi si commosse e disse a suo marito:
- Va’, mio caro sposo. Aiutare gli altri a superare le difficoltà è nostro dovere. I paesani si occuperanno di me, stai tranquillo!
Le parole della sua sposa lo rassicurarono e così si recò a Jinghong accompagnato da colui che aveva chiesto aiuto.
Dopo la partenza di suo marito, la figlia dei draghi andò furtivamente sulle rive del piccolo fiume del villaggio Mengyang. Là, ella pregò il genio del fiume di dire al Re dei draghi di aiutare suo marito a recuperare il legname caduto, il più presto possibile.
Il Re dei draghi del fiume Lancang, per far piacere a sua figlia, inviò immediatamente numerosi pesci e gamberi ad assistere Yan Maoyang nel ripescaggio.
In meno di mezza giornata, essi riuscirono a tirare fuori dall’acqua più di un migliaio di tronchi d’albero. La gente di Jinghong ne era stupefatta. «Oh, diceva, è miracoloso! Solamente il genero del Re dei draghi è capace di fare questo!»
Ma qualcuno ne aveva fatto partecipe il capo del villaggio Jinghong. Convinto dei talenti di Yan Maoyang, questi riconobbe che nessuno a Jinghong era capace quanto il giovane. Ma proprio in quel momento, un uomo gli mormorò all’orecchio:
- Mio rispettabile maestro, il giorno della vostra morte è vicino!
Il capo spalancò gli occhi e chiese:
- Cosa succede? Qualcuno cerca di uccidermi?
L’uomo rispose con astuzia:
- Non ora, ma bisogna stare all’erta! Riflettete bene, Yan Maoyang è mille volte più forte di voi, se avesse l’intenzione di diventare, al posto vostro, il capo del villaggio Jinghong, sareste in grado di misurarvi con lui?
- Allora cosa bisogna fare, secondo te?
Chiese il capo con un tono ansioso.
- La cosa migliore sarebbe quella di ucciderlo prima che egli sospetti qualcosa, rispose l’uomo estraendo la propria sciabola.
Il capo scosse la testa, vedendo pagato con l’ingratitudine il suo benefattore. Ma subito gli balenò un’altra idea per la testa: «il capo del villaggio Jinghong deve essere un uomo del posto, non bisogna cedere questa carica ad un uomo del villaggio Mengyang. Sarà meglio agire per primo».
Fece allora arrestare Yan Maoyang con l’intento di trascinarlo nella foresta per decapitarlo.
A questa notizia, la gente del villaggio Jinghong che abitava lungo il cammino dove doveva passare il condannato andò ad intercedere in suo favore e a dissuadere il loro capo dall’agire alla leggera.
Ma costui non non sentiva da questo orecchio e tranciò la testa di Yan Maoyang con un colpo di sciabola.
Avendo appreso della morte di suo marito, la figlia dei draghi cadde in deliquio. Grazie alle cure dei paesani, ella ritornò poco a poco in sé. Nella sua collera, disse:
- Non credevo che esistessero a questo mondo degli uomini così malvagi. Mio marito ha avuto la bontà di andare ad aiutarli. Ma invece di essergli riconoscenti, essi l’hanno ucciso, io non glielo perdonerò!

La notte stessa, la giovane ritornò nel Palazzo dei draghi per far partecipe del suo dolore il Re dei draghi bianchi.
Questi, preso dal furore, ordinò immediatamente ai soldati dei gamberi di gettare grosse pietre nel fiume Lancang. Subito le acque del fiume iniziarono a scorrere a ritroso e, in un niente, inondarono Jinghong e le sue risaie. Il capo e gli abitanti trovarono scampo sulla sommità delle montagne dove si nutrirono di foglie d’alberi e di frutti selvatici.
- Perché le acque del fiume salgono così in fretta, visto che non è caduta una sola goccia di pioggia?
S’interrogò il capo del villaggio Jinghong che dava per scontato che la cosa sarebbe stata di breve durata.
Ma trascorsero otto o nove giorni senza che si avesse alcun segno di decrescita.
I sinistrati avevano mangiato tutte le foglie degli alberi e i frutti selvatici e ora rischiavano di morire di fame. Allora un vecchio disse al responsabile:
- Hai avuto torto ad uccidere il bravo giovane che ci ha aiutati a ripescare il legname. Ti rendi conto che è la tua cattiveria che ha provocato la collera della figlia dei draghi ed è indirettamente la causa di questa apocalisse! La sola via d’uscita che ti permette di sopravvivere è quella di andare a riconoscere i tuoi crimini davanti alla figlia dei draghi.
Il capo comprese solo allora le cause di quella catastrofe. Rimpianse molto la sua imprudenza e fece fare una zattera di bambù che lo conducesse verso le montagne sull’altra riva in compagnia dei suoi consiglieri.
Là, scesi dalla zattera, si recarono a piedi del villaggio Mengyang per domandare perdono alla giovane vedova:
- Figlia dei draghi, disse il capo del villaggio Jinghong, la nebbia ha ostruito la mia vista, quanto me ne voglio d’aver ucciso tuo marito su istigazione di cattivi consiglieri. Uccidimi se vuoi, ma ti supplico di non annegare gli abitanti del villaggio Jinghong.
La figlia dei draghi gli lanciò uno sguardo furioso, gli rimproverò la sua ingratitudine e gli chiese di rendergli suo marito. Incapace di assolvere a tale richiesta, il capo non sapeva che implorare la clemenza.
Fu soltanto dopo aver lungamente pianto che la figlia dei draghi si calmò. Allora il capo le disse:
- Figlia dei draghi, se tu ci perdoni e lasci gli abitanti del mio villaggio vivere tranquillamente, noi saremo felici di nutrirti di generazione in generazione.
La figlia dei draghi, nonostante la sua tristezza e la sua indignazione, non se la sentiva di annegare tutti gli abitanti del villaggio Jinghong. Così acconsentì.
La sera stessa, essa ritornò nel Palazzo dei draghi per domandare al Re dei draghi di far togliere lo sbarramento di pietre dal fiume. La mattina del giorno dopo, le acque del fiume avevano ripreso il loro corso normale, i villaggi e i campi emersero nuovamente dall’immensità delle acque.
Da allora, per esprimere la loro riconoscenza, la gente del villaggio Jinghong considerano la figlia dei draghi come il genio del loro villaggio e vanno a venerarla ogni anno lungo le rive del fiume.
Si narra anche che, poco dopo il suo ritorno al Palazzo dei draghi, la figlia dei draghi avesse partorito un bel neonato. E poiché durante la maternità ella aveva avuto bisogno di uova, quando la gente va a renderle omaggio le porta come offerta centoventi uova di differenti colori.


Il cavallo e il fiume
(una favola cinese, della Cina)

Un cavallino viveva nella stalla con la madre e non era mai uscito di casa, né si era mai allontanato dal suo fianco protettivo.
Un giorno la madre gli disse: "E' ora che tu esca e che impari a fare piccole commissioni per me. Porta questo sacchetto di grano al mulino!"
Con il sacco sulla groppa, contento di rendersi utile, il puledro si mise a galoppare verso il mulino.
Ma dopo un po' incontrò sul suo cammino un fiume gonfio d'acqua che fluiva gorgogliando.
"Che cosa devo fare? Potrò attraversare?"
Si fermò incerto sulla riva.
Non sapeva a chi chiedere consiglio.
Si guardò intorno e vide un vecchio bue che brucava lì accanto.

Il cavallino si avvicinò e gli chiese:
"Zio, posso attraversare il fiume?"
"Certo, l'acqua non è profonda, mi arriva appena a ginocchio, vai tranquillo".
Il cavallino si mise a galoppare verso il fiume, ma quando stava proprio sulla riva in procinto di attraversare, uno scoiattolo gli si avvicinò saltellando e gli disse tutto agitato: "Non passare, non passare! È pericoloso, rischi di annegare!"
"Ma il fiume è così profondo?" Chiese il cavallino confuso.
"Certo, un amico ieri è annegato" raccontò lo scoiattolo con voce mesta.
Il cavallino non sapeva più a chi credere e decise di tornare a casa per chiedere consiglio alla madre.
"Sono tornato perché l'acqua è molto profonda" disse imbarazzato "non posso attraversare il fiume".
"Sei sicuro? Io penso invece che l'acqua sia poco profonda"replicò la madre.
"E' quello che mi ha detto il vecchio bue, ma lo scoiattolo insiste nel dire che il fiume è pericoloso e che ieri è annegato un suo amico".
"Allora l'acqua è profonda o poco profonda? Prova a pensarci con la tua testa".
"Veramente non ci ho pensato".
"Figlio mio, non devi ascoltare i consigli senza riflettere con la tua testa. Puoi arrivarci da solo. Il bue è grande e grosso e pensa naturalmente che il fiume sia poco profondo, mentre lo scoiattolo è così piccolo che può annegare anche in una pozzanghera e pensa che sia molto profondo".
Dopo aver ascoltato le parole della madre, il cavallino si mise a galoppare verso il fiume sicuro di sé.
Quando lo scoiattolo lo vide con le zampe ormai dentro il fiume gli gridò:
"Allora hai deciso di annegare?"
"Voglio provare ad attraversare".
E il cavallino scoprì che l'acqua del fiume non era né poco profonda come aveva detto il bue, né troppo profonda come aveva detto lo scoiattolo.


Yin e Yang
(una favola cinese, racconto e leggenda della Cina)
Chang E e suo marito Hou Yi, il prodigioso arciere, vivevano durante il regno del leggendario imperatore Yao (2000 a.C. circa).
Hou Yi era un valente membro della Guardia Imperiale che maneggiava un arco magico e scoccava frecce magiche.
Un giorno nel cielo apparvero dieci soli. La gente sulla terra non riusciva più sopportare il caldo e la siccità che ormai continuavano da diversi anni.
L’imperatore decise allora di chiamare Hou Yi ordinandogli di tirare ai soli in soprannumero per eliminarli dal cielo e soccorrere così la popolazione.
Facendo uso della sua abilità, Hou Yi ne abbattè nove lasciandone solo uno. La sua fama si diffuse, allora, fino giungere alla Regina Madre d’Occidente (Xi Wang Mu) nei lontani Monti Kunlun. Essa lo convocò al suo palazzo per ricompensarlo con la pillola dell’immortalità, ma avvertendolo così:
"Non devi mangiare la pillola immediatamente. Prima devi prepararti per 12 mesi con la preghiera e il digiuno".
Essendo un uomo diligente, egli prese a cuore il consiglio e iniziò i preparativi nascondendo, prima di tutto, a casa sua la pillola. Sfortunatamente fu chiamato d’improvviso per una missione urgente.
In sua assenza, la moglie Chang E notò una luce fioca e un dolce odore emanare da un angolo della stanza. Una volta presa la pillola nella mano, non riuscì a trattenersi dall’assaggiarla. Nel momento in cui la ingoiò la legge di gravità perse il suo potere su di lei. Poteva volare! Non molto tempo dopo sentì suo marito ritornare e terrorizzata volò fuori della finestra.
Arco e frecce in mano, Hou Yi la inseguì per mezzo cielo, ma un forte vento lo riportò a casa.
Chang E volò dritta sulla Luna , ma quando arrivò, ansimava così forte per lo sforzo compiuto, che sputò l’involucro della pillola, la quale si tramutò istantaneamente in un coniglio di giada, mentre Chang E divenne un rospo a tre zampe.
Da allora vive sulla luna respingendo le frecce magiche che il marito le tira.
Hou Yi si costruì un palazzo sul sole ed essi si vedono il quindicesimo giorno di ogni mese.
Chang E e Hou Yi, simboli, rispettivamente della luna e del sole, sono divenuti espressione di yin e yang, negativo e positivo, buio e luce, femminile e maschile, ossia della dualità che governa l’universo.


Paradiso e inferno
(una favola cinese, fiaba della Cina)

Dopo una lunga e coraggiosa vita, un valoroso samurai giunse nell'aldilà e fu destinato al paradiso.
Era un tipo pieno di curiosità e chiese di poter dare prima un'occhiata anche all'inferno.
Un angelo lo accontentò.
Si trovò in un vastissimo salone che aveva al centro una tavola imbandita con piatti colmi di pietanze succulente e di golosità inimmaginabili. Ma i commensali, che sedevano tutt'intorno, erano smunti, pallidi, lividi e scheletriti da far pietà.
"Com'è possibile?" chiese il samurai alla sua guida.
"Con tutto quel ben di Dio davanti!"
"Ci sono posate per mangiare, solo che sono lunghe più di un metro e devono essere rigorosamente impugnate all'estremità. Solo così possono portarsi il cibo alla bocca"
Il coraggioso samurai rabbrividì.
Era terribile la punizione di quei poveretti che, per quanti sforzi facessero, non riuscivano a mettersi neppure una briciola sotto ai denti.
Non volle vedere altro e chiese di andare subito in paradiso.
Qui lo attendeva una sorpresa.

Il paradiso era un salone assolutamente identico all’inferno!
Dentro l’immenso salone c’era un’infinita tavolata di gente seduta davanti ad un’identica sfilata di piatti deliziosi.
Non solo: tutti i commensali erano muniti degli stessi bastoncini lunghi più di un metro, da impugnare all’estremità per portarsi il cibo alla bocca.
C’era una sola differenza: qui la gente intorno al tavolo era allegra, ben pasciuta, sprizzante di gioia.
“Ma com’è possibile?”, chiese stupito il coraggioso samurai.
L’angelo sorrise:
“All’inferno ognuno si affanna ad afferrare il cibo e portarlo alla propria bocca, perché così si sono sempre comportati nella loro vita. Qui al contrario, ciascuno prende il cibo con i bastoncini e poi si preoccupa di imboccare il proprio vicino”.
Paradiso e inferno sono nelle tue mani.
Oggi.


Xi Shi Un’eroina dal viso di giada
(una favola cinese, racconto della Cina)

La storia di Xi Shi è legata alle vicende degli stati di Wu e di Yue, all’epoca dei Tre Regni (221-263 d.C.). Quantunque avesse un viso bello come un fiore e bianco come la giada, Xi Shi dimostrò di avere la capacità, con uno sguardo, di conquistare una città e, con un altro, di impadronirsi d’uno stato. Fu un’eroina: vergognosa dell’onta portata al suo paese distrutto, non esitò, per vendicarsi, a usare il proprio corpo. Voleva che lo stato di Yue (Zhejiang), ove era nata e che era diventato vassallo dello stato di Wu, riconquistasse la sua indipendenza.
La storia dice che il re Ke Jian dello stato vassallo di Yue riunisse un giorno i suoi funzionari e domandasse loro quale mezzo avrebbero scelto per vendicarsi della vergogna subita con la conquista da parte di Wu.
"Vi sono sette mezzi per distruggerlo" rispose Wen Jiong. "Il primo è quello di dargli oggetti e monete perché il re e i suoi ministri siano contenti. Il secondo è quello di comprare i loro cereali, in maniera che non ne abbiano di riserva. Il terzo è di inviare colà leggiadre fanciulle perché possano stregare il re e farsi amare da lui". E continuò l’elenco.
Quindi Ke Jian prima inviò in dono a Fu Ji’ai, re di Wu, il migliore legname per costruire un belvedere, poi inviò il suo fedele funzionario Fan Li in tutto il regno per trovare le fanciulle più leggiadre e trasmetterne un elenco a corte. Dopo sei mesi aveva trovato fanciulle graziose, ma non di fascino tale che un loro sguardo conquistasse uno stato.
Alla fine, sulla Collina del Glicine, vide una ragazza intenta a lavare una stoffa di canapa.
La storia dice che la fanciulla emanasse odor di orchidea e che ancor più che bella si dimostrasse leale e intelligente, chiedendo senza paura a Fan Li perché, nonostante la vergogna dello stato di Yue non fosse ancora stata lavata, un ministro andasse a passeggio in luoghi sperduti dell’impero ad ammirare le bellezze del paesaggio.
Così Fan Li svelò il segreto della missione e Xi Shi, accompagnata da un’amica altrettanto bella e coraggiosa, andò a corte.
Per tre anni le giovanette vennero addestrate al canto e alla danza, impararono ad atteggiare il viso e a camminare con grazia, quindi furono inviate allo stato di Wu, dove infatti Xi Shi divenne la favorita, così amata dal re che, per evitarle i calori estivi, ordinò un giorno di costruire una reggia sulla baia di Dongding in soli dieci giorni.
Tutta la gente giovane dello stato di Wu dovette andare a lavorare alla costruzione della baia, per trovare materiale a sufficienza si demolirono templi, poi le case dei benestanti, infine quelle del popolo. I lavori agricoli furono ritardati e così quelli della tessitura, il popolo di Wu era ormai esasperato ma la reggia fu costruita.
Allora Ke Jian ordinò a Wen Jiong di andare nello stato di Wu e chiedere in prestito riso dai granai del regno, simulando una cattiva annata. Poiché lo stato di Wu in apparenza si era sempre dimostrato in pace, inviando a Wu il più pregiato legname e le più leggiadre fanciulle, il prestito fu concesso e l’anno dopo regolarmente restituito, ma con riso sottoposto a una corrente di vapore, di grana grossa all’apparenza ma non trapiantabile. Tale riso fu distribuito alla popolazione perché lo seminasse. Ma non germogliò nulla, causando, l’anno dopo, una grave carestia.
Intanto Fu Ji’ai fece guerra allo stato di Ci e la vinse; poi partì con l’intenzione di togliere allo stato di Jin la preminenza tra i regni alleati. Per Yue era il momento di attaccare, approfittando dell’assenza di Fu Ji’ai dal suo regno: lo fece ed ebbe la meglio e quando Fu Ji’ai fece ritorno nel suo stato per misurarsi contro i soldati di Ke Jian, ormai le sue truppe erano stremate.
La vendetta di Yue contro Wu era compiuta e Xi Shi poteva ritornare in patria, ma non aveva previsto di essere amata così devotamente da Fu Ji’ai e di sentirsi ora in dovere di ripagarne in qualche modo i benefici ricevuti.
Non aveva tralasciato di vendicare il suo paese ma ora ricambiava col suicidio i favori di quel sovrano nemico che l’aveva amata.
Questa storia di coraggio, di lealtà e amor patrio, che si trasforma infine in una storia d’amore, è una delle più toccanti tra quelle legate a personaggi femminili, e Xi Shi ne emerge come una delle più belle eroine della tradizione, donna d’orgoglio e di cuore.


La storia delle spiagge Wangniang
(una favola cinese, fiaba e leggenda della Cina)

Molti anni fa, la pianura occidentale del Sichuan conobbe una siccità così grave che gli alberi morivano, i giovani virgulti ingiallivano, le risaie si spaccavano, i laghi mostravano il loro fondo e i raggi di un sole rosso fuoco brillavano ogni giorno sulla terra.
In un piccolo villaggio, al bordo di una rapida, abitava una famiglia. La madre, che si chiamava Madre Nie, aveva più di quarant’anni e suo figlio Nie Lang ne aveva quattordici. Essi affittavano un campo, ma i pochi dou di cereali che restavano non erano sufficienti, dopo aver pagato l’affitto restava poco: Nie Lang doveva andare a raccogliere la legna per il fuoco e delle erbe per venderle; molto sincero, laborioso e saggio, era sempre pronto ad aiutare i vicini. Se la intendeva bene con i bambini del villaggio e il suo migliore amico si chiamava Changsheng.
Un giorno, al primo canto del gallo, egli andò come sempre, con la gerla sulla schiena, a tagliare delle erbe col falcetto. Salendo verso la Cima del Drago Rosso, pensava: « Il mio amico Changsheng mi ha detto ieri che Zhou il Riccone chiede delle erbe per nutrire il suo cavallo, bisogna che ne tagli di più per vendergliele». Preso da questi pensieri, senza accorgersene, Nie Lang aveva oltrepassato la Cima del Drago Rosso.

Nel Fossato del Drago alla base della montagna, in primavera si era avuta abbondanza di pesci e gamberetti, e di erbe sulle sue rive. Ma il luogo adesso non era altro che pietrisco. Nie Lang emise un sospiro, e pensava di andare altrove, quando vide improvvisamente una figura bianca dietro il tempio tutelare. Molto stupito, disse: « Oh! Una lepre bianca!»
All’idea che la lepre mangia l’erba tenera, egli la seguì non si sa per quanti li. Arrivata al fondo della valle, la lepre scomparve. Ma Nie Lang scoprì là un ciuffo di verzura, e tutto contento, ne tagliò un cesto pieno.
Cosa estremamente bizzarra, l’indomani le erbe erano ricresciute. Egli andò dunque a tagliarle due giorni di seguito. Poi pensò: «Sarebbe meglio che le strappassi e le piantassi dietro casa mia, invece di correre ogni volta come un coniglio per una dozzina di li». Si affrettò a scavare la terra e strappò le erbe. Ora, stava per rialzarsi quando vide una pozza d’acqua, sulla cui superficie brillava una perla. Nie Lang la prese, tutto felice, la mise prudentemente in grembo e tornò a casa, con la sua gerla di erbe sulla schiena.
Al suo arrivo a casa, il sole stava già tramontando dietro la montagna. Mamma Nie stava preparando la zuppa di mais. Alla vista del suo ragazzo, si lamentò amaramente:
- Perché rientri così tardi?
Nie Lang le raccontò la sua avventura e tirò fuori la perla. Improvvisamente, tutta la casa fu illuminata da un bagliore così accecante che non si poteva tenere gli occhi aperti. La madre si affrettò a dirgli di nasconderla nel vaso del riso. Dopo cena, Nie Lang piantò le erbe dietro casa, vicino a un boschetto di bambù.
Il giorno dopo, si alzò prestissimo e corse a dare un’occhiata alle sue piantagioni. Ahimè, le erbe erano tutte secche. Rientrò a casa per vedere se la perla era ancora là. Appena aperto il coperchio del vaso, gridò meravigliato:
- Madre, presto, venite a vedere!

Il vaso era pieno di riso, e sopra c’era ancora la perla. Capirono che era una perla magica, poiché, da allora, se la si posava nel vaso del riso, il riso aumentava, e se la si metteva su dell’argento, l’argento si moltiplicava. Alla famiglia non mancavano ormai né vestiti né cibo. Quando i vicini non avevano di che mangiare, Mamma Nie diceva a suo figlio di portar loro del riso. Anche lui povero, Nie Lang voleva ben aiutare i vicini in difficoltà. La notizia si sparse in fretta. Quando la seppe, Zhou il Riccone, un signorotto dispotico del villaggio, disse al suo intendente:
- Bisogna cercare con tutti i mezzi di impadronirci di questa perla!
- Signore, disse l’intendente, la famiglia Nie è povera, sarà facile comperarla con una bella sommetta.
Ma poiché Nie Lang era certamente troppo intelligente per lasciarsi ingannare, Zhou e il suo intendente concepirono un piano oscuro: l’intendente sarebbe andato con quattro servi a saccheggiare la casa dei Nie, con il pretesto che Nie Lang aveva rubato la perla preziosa della famiglia Zhou tramandata dai suoi antenati. Se Nie Lang non avesse dato la perla, lo si sarebbe incatenato e condotto in prefettura.

Quando Changsheng, guardiano dei cavalli di casa Zhou, venne a conoscenza del complotto, uscì di nascosto e andò ad informare Nie Lang affinché fuggisse immediatamente con sua madre. Madre e figlio erano tutti indaffarati nei loro preparativi per la partenza quando l’intendente di Zhou li fermò subdolamente davanti alla porta.
- Ridatemi immediatamente, gridò, la perla magica del mio padrone o siete morti tutti e due!
A quelle parole, Nie Lang si arrabbiò e disse puntando l’indice sull’intendente:
- Tu non sai che malmenare i poveri appoggiandoti a Zhou il Riccone. Con quale prova mi accusi di furto?
Senza prendersi pena di rispondergli, l’intendente ordinò ai servi di frugare in casa ma non si trovò nulla. L’intendente sgranò gli occhi e disse di perquisire Nie Lang che, immediatamente, inghiottì la perla.
- È finita, finita! Nie Lang ha inghiottito la perla, la perla è nella sua pancia! Gridarono i domestici.
- Picchiatelo! urlò l’intendente.
Sotto i calci e i pugni, Nie Lang svenne. Fortunamente, alcuni vicini riuscirono a scacciare l’intendente e i servi; quindi portarono Nie Lang dentro casa e curarono le sue ferite.

Mamma Nie, seduta vicino al letto, vigilava su suo figlio, con le lacrime agli occhi.
A mezzanotte passata, Nie Lang si svegliò improvvisamente e disse ad alta voce:
- Che sete! Voglio bere dell’acqua!
Vedendo che suo figlio aveva ripreso conoscenza, Mamma Nie, felicissima, si affrettò a dargli una ciotola d’acqua. Nie Lang la vuotò in un attimo e ne chiese ancora un’altra. Molto impaziente, si mise a pancia in giù sull’orlo del grande orcio e ne bevve tutta l’acqua. Sua madre tremava per la paura.
- Figlio mio, è terrificante vederti bere così tanta acqua!
- Mamma, il mio cuore soffre come se fosse arso da un fuoco violento! Voglio bere ancora, mamma!
- Non c’è più acqua nel nostro orcio!
- Voglio andare a bere nella rapida!
Un lampo squarciò il cielo e illuminò tutta la casa, seguito dal fragore del tuono. Nie Lang saltò per terra e corse fuori. Sua madre si precipitò per rincorrerlo, ma più lei correva, più aumentava la sua paura. Poco tempo dopo, apparve davanti a loro un fiume, simile a un lungo nastro grigio. Come posseduto, Nie Lang si gettò in riva al fiume e bevve gloglottando.

I lampi e i tuoni si succedevano. In un batter d’occhio, Nie Lang aveva prosciugato metà dell’acqua del fiume. Tirando per i piedi con tutta la sua forza, la madre gridò:
- Che cosa ti sta succendendo, figlio mio?
Nie Lang si voltò, si era trasformato: si vedevano due corna sulla testa, dei peli blu attorno alla bocca e delle scaglie rosse sul collo.
- Lasciate la presa, mamma, voglio essere un drago per vendicarmi di quest’odio così immenso e profondo quanto il mare!
Sotto i tuoni e i lampi, l’acqua salì rapidamente nel fiume con delle onde tumultuose, e sconvolse il silenzio dell’immensa terra.
Zhou il Riccone in persona arrivò giusto in quel momento, conducendo i suoi servitori che brandivano delle torce, con l’intenzione di aprire il ventre di Nie Lang e prendersi la perla.
Udendo questo vocìo, Nie Lang indovinò che c’erano della persone e disse:
- Lasciatemi, mamma, voglio vendicarmi!
Scrollandosi con tutte le sue forze, si rotolò nel fiume e fece scaturire delle onde alte sino al cielo.
- Vecchia, dov’è andato tuo figlio?, gridò Zhou afferrando Mamma Nie per le spalle.
- Che delinquente sei, Zhou! Insegui mio figlio sino al fiume. Non ti è sufficiente? Nie Lang,- urlò,- il tuo nemico è arrivato!
Con un calcio, Zhou il Riccone gettò Mamma Nie per terra, e corse in riva al fiume per cercare Nie Lang. Seguita da un lampo rosso e nel fracasso del tuono, un’onda, scatenata come un cavallo al galoppo, trascinò tra i suoi flutti Zhou il Riccone, il suo intendente e tutti i suoi servi, inghiottendoli sino all’ultimo.

Il vento si calmò e la pioggia smise di cadere. Il cielo si rasserenò poco a poco. Nie Lang levò la testa e chiamò dal fiume:
- Mamma, sto per partire!
- Figlio mio! Quando ritornerai? domandò Mamma Nie, afflitta.
- Poichè il mondo umano e il mare si separano, io non tornerò fino a quando le rocce non sbocceranno come fiori e ai cavalli non spunteranno delle corna.

Avendo la triste convinzione che suo figlio non sarebbe mai più tornato, Mamma Nie, in piedi su una grande roccia, gridava incessantemente:
«Figlio mio! Figlio mio!...»
Ai richiami della sua amata madre, Nie Lang volgeva più in alto la testa per vederla.
Ventiquattro volte lei lo chiamò e ventiquattro volte egli alzò la testa. Ad ogni saluto del figlio, comparve una spiaggia. Ne comparvero ventiquattro che più tardi furono chiamate le «Spiagge che guardano la madre», in cinese Spiagge Wangniang.

 
Web Contacts  Top
view post Posted on 14/9/2011, 15:04     +1   -1

Founder di Spam&Uova

Group:
I guardiani dei cieli
Posts:
12,413
Reputation:
+14
Location:
Non vengo da nessuna parte...

Status:


E io che pensavo che la fiaba "La figlia dei draghi" avrebbe almeno attirato Dragongirl, mah. :/

 
Web Contacts  Top
1 replies since 12/9/2011, 11:39   931 views
  Share