I Celti

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view post Posted on 12/9/2011, 11:05     +1   +1   -1

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I Celti nel mondo


Non è semplice parlare dei Celti, in quanto si tratta di un popolo ancora oggi avvolto dal mistero. Storicamente collochiamo i Celti nel I. millennio a.C. ma le origini di questo popolo sono sicuramente molto più antiche. Geograficamente essi occupavano le zone a nord delle Alpi, l’Inghilterra, l’Irlanda, la Francia (soprattutto quella settentrionale) ed ebbero contatti con i Greci e i Romani. La loro cultura era, per alcuni versi, la medesima di quella delle altre popolazioni nordiche (Germani, Vichinghi, Norvegesi), da cui ereditarono, ad esempio, l’uso delle rune.
Dei Celti abbiamo poche testimonianze, alcune sono presenti nel De Bello Gallico di Giulio Cesare e in altre fonti classiche. I Celti non erano barbari, tutt’altro, erano un popolo civilissimo.

Erano un popolo molto pacifico ed erano molto legati alla natura; questo loro aspetto viene sovente associato a quello dei nativi americani. Le donne erano molto libere e coraggiose, ci si curava con le piante, la musica, la danza, con la cromoterapia e si credeva nel potere terapeutico di determinate acque. I Celti non edificavano templi poiché per loro la natura stessa era un tempio. Boschi, alture, laghi, stagni, sorgenti erano tutti luoghi in cui ci si poteva mettere in contatto con il divino. Il luogo sacro per eccellenza era il bosco, coniugato ad un profondo rispetto per l’acqua. Essi avevano moltissime piante ritenute sacre, le cui principali sono la quercia e il vischio. I Celti associavano la quercia al principio maschile ed il vischio a quello femminile. Il vischio era sacro in quanto mettendo le foglie nuove in inverno simboleggia la rigenerazione della vita. Questa pianta simbolica è arrivata sino a noi: a Natale si usa baciarsi sotto il vischio ma noi non sappiamo il perché: il vischio era sacro presso i Celti e questa sacralità è rimasta. I Celti consideravano la natura la madre sacra di tutti i viventi. Per loro tutte le forze della natura, anche le più sconvolgenti, erano una manifestazione di quella energia che tutto crea e tutto distrugge. Il mondo dei Celti non aveva dualità, non faceva distinzione tra sacro e profano, materia e spirito, corpo e mente: tutto veniva ricondotto ad un unico principio. Inoltre nella cultura celtica non esistono miti di creazione poiché loro vedevano il divino in termini ciclici, cioè il tutto è in continua evoluzione. Il principio unico ed increato veniva designato con il termine OIW e simboleggiato con il Sole.


Le fondamenta della mitologia celtica


La mitologia celtica ci è stata tramandata da fonti classiche e da monaci irlandesi che hanno messo per iscritto i dati tramandati oralmente: ciò vuol dire che queste informazioni possono essere state travisate. Le divinità celtiche sono molto simili a quelle greche, cambia solo il nome. Ad esempio Giulio Cesare associava il dio celtico Lugh a Hermes (che corrisponde al dio romano Mercurio). Altri personaggi numinosi furono invece assimilati dal Cristianesimo, come la dea Brigit, da cui nacqua Santa Brigida. Anche l’albero che noi addobbiamo a Natale è un ricordo delle popolazioni nordiche: il paganesimo germanico e scandinavo, infatti, comprendeva l’usanza di adornare un abete rosso con ghirlande, luci e dolciumi. La Chiesa ha cercato di contrastare questa usanza, ma invano. Ci sono comunque altre analogie con il Cristianesimo, questo perché vi fu, alla fine dell’impero romano, una sintesi tra cultura nordica e cultura cristiana. Le popolazioni nordiche infatti festeggiavano l’equinozio di primavera (che corrisponde alla nostra Pasqua). Il mondo presenta la forma di un uovo e presso queste popolazioni esso è associato alla frantumazione e a qualcosa di nuovo (il che simboleggia quindi la rinascita, la resurrezione). Questa rigenerazione è rappresentata dalla dea Ostsara (in tedesco Ostern, in inglese Easter, cioè colei che viene dall’est). Così come noi festeggiamo il Natale, i Celti festeggiavano il solstizio d’inverno. E’ ormai piuttosto noto, infatti, che Gesù non è nato il 25 dicembre e che questa è una data simbolica con cui si ricorda il giorno del sol invictus. Secondo i Celti, durante il solstizio d’inverno rinacque il dio Yule (che sarebbe il nostro Gesù).
Un’altra analogia è quella tra Adamo ed Eva ed Ask ed Embla, rispettivamente il primo uomo e la prima donna (secondo la mitologia nordica) creati da Odino, tramite un soffio.

Si afferma che alcune popolazioni celtiche non si cibassero di volatili. Non si sa di preciso il motivo ma molto probabilmente era per lo stesso motivo presente in culture animiste e sciamaniche, che considerano i volatili animali intermediari tra cielo e terra.
I Celti avevano il dono della chiaroveggenza e molte altre virtù che noi non possediamo più, come ad esempio l’apertura del terzo occhio. Essi sapevano che oltre alla parte esterna e visibile dell’uomo ve n’è una più interna, cioè l’essenza. Credevano, inoltre- secondo alcune fonti classiche - nella reincarnazione. I Celti ponevano poche barriere tra il visibile e l’invisibile e sostenevano che l’Aldilà fosse accessibile anche ai vivi.
Nella mitologia celtica un elemento molto importante è il drago. Il drago ha una forza bivalente: aiuta e distrugge. Esso rappresenta una parte di noi, precisamente i nostri difetti psicologici: infatti l’eroe deve uccidere il drago per liberare la fanciulla nella torre, che rappresenta la nostra coscienza intrappolata. Per diventare eroi bisogna vincere le proprie passioni e debolezze, cioè il drago che è in noi. I difetti, però, vanno superati in un certo modo perché servono a farci capire qualcosa. Talvolta il drago rappresenta la materia.

Chiunque abbia modo di avvicinarsi alla mitologia celtica (e nordica in generale) può facilmente notare che in essa vi è una certa componente notturna e tragica, per questo si parla sovente di crepuscolo degli dei. Invero il concetto di crepuscolo degli dei, presente anche nella mitologia norvegese, è ben più complesso. Il crepuscolo degli dei si definisce con la parola Ragnarok, termine composto da Ragna e Rok. Si tratta di due vocaboli islandesi traducibili con destino ineluttabile: è cioè la visione profetica della fine dell’universo, molto simile all’Apocalisse dei cristiani. Nel dodicesimo secolo gli Scaldi (poeti norvegesi) aggiunsero alcune sillabe, quindi invece di Ragnarok si ebbe Ragnarokkr, tradotta ambiguamente con crepuscolo degli dei. La civiltà celtica comprendeva una classe sociale molto importante: i Druidi.

Secondo Plinio la parola druido deriva dal greco druz che significa quercia. Gli storici hanno invalidato questa ipotesi ma non sarebbe improbabile, visto che la quercia era ritenuta sacra. I Druidi sono conosciuti come sacerdoti, ma invero erano molto di più: erano uomini di conoscenza, conoscevano in particolar modo le leggi della natura e le tramandavano all’aperto e oralmente; proprio per questo è molto complesso ricostruire il pensiero e il misticismo dei Drudi: non ci hanno lasciato nulla di scritto. Alcuni sostengono che i Druidi tramandavano i loro precetti oralmente per il fatto che probabilmente non conoscevano la scrittura ma questa ipotesi è forse falsa, perché in Gallia c’era l’alfabeto greco e le popolazioni nordiche, come i Celti, conoscevano anche l’alfabeto runico. Nei loro insegnamenti, i Druidi tramandavano la conoscenza della natura, le sue energie telluriche e cosmiche e le sue leggi. I Druidi insegnavano inoltre a venerare gli dei a non commettere ingiustizie e a mantenere sempre una condotta virile, così come un druido dichiarò allo storico Diogene Laerzio. La figura dei Druidi era pregnante nel mondo celtico, infatti essi esercitavano anche una funzione politica ed erano al vertice della piramide sociale. I Drudi potevano possedere anche delle ‘specializzazioni’ ed essere quindi sacerdoti, astrologi, maghi, uomini di scienza. Alcuni sostengono che i Druidi non fossero necessariamente dei bravi astronomi ma si deve tener presente che in queste civiltà antiche i saperi erano tutti collegati e c’era una forte coesione tra astrologia ed astronomia, quindi un druido esperto di astrologia conosceva sicuramente anche l’astronomia. Non a caso altre fonti sostengono esattamente il contrario, cioè che i Druidi possedevano larghe competenze astronomiche. L’animale più vicino ai Druidi era il cinghiale.
A onta di chi sostiene che quella dei Celti non può essere definita una civiltà, possiamo asserire che grazie ai Druidi quella dei Celti non solo era una civiltà ma anche un vero impero, unificato dal druidismo e dalla classe sacerdotale.

Secondo antichi storici, il Druidismo si sviluppa in Britannia ed in Gallia dove questi uomini di conoscenza avevano una grande fama come filosofi già dall’inizio del II sec. a.C. Abbiamo testimonianze dei Drudi da parte di Cicerone, Giulio Cesare e Diodoro Siculo. Quest’ultimo, parlando dei Druidi, li considera proprio dei filosofi. Periodicamente si tenevano delle assemblee dei Druidi appartenenti a varie tribù, che potevano essere anche in conflitto tra loro.
Il metodo divinatorio celtico era basato sulle rune, cioè su simboli utilizzati come lettere dell’alfabeto e utilizzate altresì per invocare divinità e per predire il futuro. Le rune non sono di origine celtica ma di origine germanico-scandinava e furono introdotte tra i Celti tramite i Vichinghi intorno al 100 a.C. Esse sono considerate a tutt’oggi un efficace metodo divinatorio perché basato su simboli (i simboli penetrano direttamente nell’inconscio, il loro messaggio è subliminale) e vengono utilizzate anche nella magia Wicca. Le rune venivano incise per lo più su pietre, ma anche su argilla, metallo e legno. Il vero significato delle rune è molto profondo e per questo non si può trasportare completamente nella mentalità dei giorni nostri, infatti originariamente ogni runa rappresentava un intero universo concettuale. La parola runa significa, non a caso, segreto e chi era in grado di interpretarle veniva considerato molto potente. Abbiamo testimonianze delle rune nell’opera Germania di Cornelio Tacito, il quale asserì che le divinazioni compiute con le rune erano molto più evolute delle altre.

Esistono tre sistemi runici: il Futhark più antico (24 rune), il Futhorc anglofrisone (29 o 33 rune) e il Futhark più giovane (16 rune). La parola Futhark deriva dalle prime sei lettere dell’alfabeto runico antico, ad ogni lettera corrisponde un suono e le prime sei lettere formano la parola Futhark. E’ interessante notare che alcune lettere del nostro alfabeto (ad esempio f, u, r, c, h, i , s, b) hanno una certa somiglianza grafica con i simboli runici corrispondenti a queste stesse lettere (ad esempio la runa corrispondente al suono B è graficamente uguale alla nostra B, solo che è un po’ più “appuntita”).

I Celti si dichiarano discendenti degli Iperborei, cioè la razza che ha preceduto gli Atlantidei. Gli Iperboerei derivavano, a loro volta, dai Polari, così chiamati perché dicevano di esser stati portati dalla stella Polare. I Polari vivevano nella calotta polare ma forse vi vivevano anche gli Iperborei e anticamente queste zone forse non erano state ancora rivestite dal Circolo polare artico. I Polari insegnavano la scienza del magnetismo e la canalizzazione delle energie (ad esempio la funzione dei menhir e dei dolmen era proprio quella di canalizzare energie e creare luoghi di forza), vivevano nell’isola di Thule nel periodo corrispondente al Cenozoico e Mesozoico, dove i libri di storia non vedono la presenza dell’uomo. Erano dei giganti ed in realtà sono stati ritrovati anche i loro resti (un adulto della nostra razza corrisponde ad un femore dei Polari) ma nessuno ce lo viene a dire. I Celti conoscevano la natura ed il cosmo nella sua interiorità, infatti nelle fiabe celtiche abbiamo molti giganti, gnomi, elfi, folletti: non si tratta di invenzioni nè di fantasia bensì di ricordi, poiché questi esseri esistevano davvero e forse esistono ancora ma noi non li riusciamo più a vedere.


Le fiabe celtiche
Fiabe e miti celtici


La Volpe e l'Oca

Una volpe aveva catturato una bella oca grassa che dormiva accanto a un specchio d’acqua.
Mentre l’oca starnazzava e fischiava, la volpe la schernì:
«Sì sì, schiamazza pure», disse la volpe, «ma se invece di essere io a tenere in bocca te, fossi tu a tenere me, cosa faresti?»
«Be’», disse l’oca, «è facile a dirsi. Congiungerei le mani, chiuderei gli occhi, reciterei una preghierina di ringraziamento e ti mangerei».
La volpe congiunse le mani, fece una faccia solenne, chiuse gli occhi e recitò la preghierina di ringraziamento.
Ma mentre lo faceva l’oca spalancò le ali e se la filò, allontanandosi sull’acqua.
«Ne farò una regola di vita», borbottò la volpe, leccandosi le labbra rimaste asciutte, «non pronùncerò mai più una preghiera di ringraziamento fino a che non avrò la preda nella pancia».


La Volpe e il Gallo

Un giorno una volpe e un gallo stavano conversando insieme. «Quanti trucchi conosci?», disse la volpe.
«Ne conosco tre», disse il gallo.
«E tu quanti ne conosci?»
«Almeno settantatré», disse, sprezzante, la volpe.
«Sono davvero tanti. Dimmene uno».
«Be’, mio nonno mi ha insegnato a chiudere un occhio e lanciare un forte grido».
«E che ci vuole?», disse il gallo. «Saprei farlo anch’io».
E chiuse un occhio e lanciò un grido fortissimo.
Ma l’occhio che aveva chiuso era quello vicino alla volpe, così la volpe lo afferrò per il collo e se lo portò via.
Ma una brava donna vide il gallo che veniva trascinato via e strillò:
«Lascia andare quell’uccello. E mio».
Allora il gallo sussurrò alla volpe: «Dille che adesso appartengo a te».
La volpe aprì la bocca per parlare e lasciò cadere il gallo.
In un baleno quello volò sul tetto della casa e, con un occhio chiuso, lanciò un grido formidabile.


L'Aquila e lo Scricciolo

L'aquila e lo scricciolo stavano verificando chi dei due potesse volare più alto.
Il vincitore sarebbe divenuto re degli uccelli.
Lo scricciolo partì per primo, dritto verso il cielo.
Ma l'aquila lo raggiunse, librandosi agevolmente in grandi cerchi nell'aria.
Lo scricciolo era stanco, così, appena l’aquila passò, zitto zitto si sistemò sull’ampio dorso dell’aquila.
Alla fine, l’aquila cominciò a stancarsi.
«Ma dove sei, scricciolo?», gridò.
«Sono qui», rispose lo scricciolo, «solo un po’ più in alto di te».
Fu così che lo scricciolo vinse la gara.


Fiabe celtiche: tra memoria storica e mito
di Aerendil


Cha mhisde sgeul mhath aithris da uair.
Una buona storia resta tale anche se viene narrata una seconda volta.

stonehenge-cloudy

C'erano una volta case immerse nei boschi, misteriose scomparse, vecchie megere affamate che attiravano bambini sperduti offrendo dolci, immensi draghi custodi di incredibili tesori. Chi crede che il Paese delle fate esiste davvero? Che ci sia qualcuno o qualcosa che vive immerso nelle oscure acque dei laghi delle Highlands scozzesi?

Io credo che ogni storia racconti una sua verità, e lo credevano anche i Celti.

Sembra che il territorio di origine di questa misteriosa civiltà sia la Germania sud-occidentale (la stessa zona in cui sono ambientate le favole dei fratelli Grimm e dove ancora oggi si trova la tetra “Foresta Nera”) , la Svizzera settentrionale e centrale, i territori del Reno fino a Colonia, l’Alsazia e la Francia orientale. Sotto la pressione dei Germani, che si stanno spingendo verso ovest fino alle rive del Reno, i primi Celti, il cui ceppo linguistico è quello gaelico, emigrano nel VI secolo a.C. in parte in Spagna, in parte nelle isole britanniche attraverso il basso Reno e la Bretagna.

In seguito al declino dei Celti presenti sul continente è proprio in Gran Bretagna ed Irlanda che la lingua e la cultura celtica continuano a sopravvivere fino ai giorni nostri, sebbene quasi solo come testimonianza storica. Nel corso dei secoli, in seguito all’espansione degli Inglesi, dei Vichinghi e dei Normanni, la storia dei Celti in Galles, Irlanda e Scozia diventa la storia di piccoli regni spesso in lotta tra loro o contro invasori stranieri. Influssi esterni disgregano la struttura preesistente della società celtica, mentre la cultura linguistica sopravvive solo tra la popolazione contadina. Tuttavia in Irlanda la mancanza di invasioni romane e sassoni contribuisce non poco al mantenimento dello stile di vita e delle istituzioni celtiche, che nemmeno la cristianizzazione dell’isola e gli assalti dei Vichinghi o degli anglo-normanni riesce a sradicare. L’influsso cristiano porta anzi ad una fioritura delle arti letterarie e manuali che consente agli irlandesi di conservare l’eredità celtica in molti ambiti della vita di tutti i giorni.

Durante il raduno di Drium Ceat nel 575, San Colombano conferma la posizione tradizionalmente ricoperta dai druidi all’interno della società irlandese: è in questo modo che una tradizione orale millenaria viene mantenuta e tramandata.

In Irlanda e Galles nel periodo feudale esistevano due tipi di cantori e narratori: i cantori di corte, provenienti dalla casta dei druidi, i bardi e un tipo di poeti e narratori il cui status non era regolato da leggi. I druidi erano inizialmente considerati veggenti, divennero poi poeti che esaltavano la fama del loro signore secondo regole poetiche rigide. I bardi in Galles indicavano un maestro poeta, in Irlanda un poeta di rango inferiore. Gli altri poeti erano liberi di scegliere la dizione, il tema e la metrica. La superstizione popolare attribuiva loro forze profetiche e di loro si sa molto poco. Si suppone fossero poeti senza mecenate, per scelta o meno, non ci è dato sapere. Sappiamo che questi cantori vagavano di villaggio in villaggio, raccontando storie sotto un albero o davanti ad un camino, a seconda della stagione. In questo modo, storie popolari, derivate da frammenti di antiche storie mitologiche risalenti all’età della pietra vennero tramandate fino ai nostri giorni. I loro principi poetici sono riassunti in un versetto del Llyfr Coch Hergest (Il libro rosso di Hergest):

Tre cose arricchiscono il poeta:

miti, forza poetica e una

riserva di vecchi racconti e versi.



Nel XIII secolo i cantori girovaghi furono presi a corte dagli invasori normanno-francesi penetrati nel Galles, probabilmente a seguito dell’influenza dei cavalieri bretoni che conoscevano il gallese e che ritrovavano in alcune storie delle versioni di fiabe già udite in patria. I “trovatori” o “finder” le traducevano poi nel francese dell’epoca e le adattavano al codice provenzale di comportamento cavalleresco. Fu sotto questa forma che si diffusero in tutta Europa.

E’ importante notare che la guerra civile inglese prima, e l’arrivo di Cromwell in Irlanda poi, fecero sì che in quei territori di lingua celtica, dove le “storie” venivano recitate in una lingua ufficialmente proibita (gaelico in Irlanda, gallese in Galles), questa letteratura assumesse anche l’aspetto politico di lotta culturale. La riscoperta della tradizione linguistica fu da allora sempre vista come un’arma politica, ed è così ancora oggi, basta pensare ai bretoni.

Una tradizione ormai affermata di narrazione orale e popolare e il desiderio di indipendenza nazionale hanno svolto un ruolo importante nella diffusione della fiaba nel territorio linguistico celtico. Se a questo si aggiunge il fatto che in linea di massima si trattava di territori isolati, abitati da contadini che solo in modo marginale venivano a contatto con i processi di industrializzazione e, più tardi, con i mass-media, possediamo tutti gli ingredienti per capire perché ancora oggi la tradizione di tramandare oralmente vecchie storie è così forte e radicata.

Parliamo di popoli vissuti in territori sostanzialmente ostili, di una civiltà che ha vissuto intimamente in contatto con le forze elementari della natura; la fiaba serviva a evocare, a esorcizzare e a comprendere fenomeni naturali e soprannaturali che avevano una parte preponderante nella vita quotidiana di tutti. Il filo conduttore di molte di queste storie infatti è la presenza del soprannaturale nella vita quotidiana, del mondo “parallelo” nel quale molti credono fermamente, di quelle creature che nella cultura anglosassone sono indicate con il termine di fairies: folletti, fate, goblin, leprecauni e così via.

Queste storie venivano raccontate durante le festività pagane, nelle notti di vigilia, nelle occasioni di ritrovo nelle lunghe notti invernali o in mare, gettate le reti e accese le pipe. L’arte di raccontare fiabe è chiaramente fiorita in un’epoca in cui c’erano ben pochi altri divertimenti e il racconto coinvolgeva con la stessa partecipazione bambini, adulti e anziani. Pare che i narratori di leggende si riunissero di sera e recitassero la stessa storia. Veniva poi presa una decisione: l’uomo che aveva apportato dei cambiamenti doveva conformarsi al verdetto generale.

Leggendo oggi le fiabe celtiche, raccolte dopo anni di pazienti e appassionate ricerche da parte di alcuni studiosi e collezionisti, si ha l’impressione di ritrovarsi di fronte ad un reperto archeologico dell’età del bronzo. Pochissime contaminazioni storiche ne alterano l’identità che è riuscita a tramandarsi nei secoli seguendo un filone che si ripresenta costante secondo una coscienza collettiva che doveva essere dominante in un antico periodo dell’umanità.

Nel 1888, nella premessa alla sua prima raccolta di fiabe pubblicata con il titolo di Fairy and Folk Tales of the Irish Peasantry, William Butler Yeats così scriveva: “perfino un giornalista crederà nei fantasmi se lo attirate dentro un cimitero a mezzanotte, perché siamo tutti visionari se andiamo a scavare nel profondo. Ma il Celta è un visionario senza bisogno di scavare”. La fiaba celtica ha rappresentato la letteratura di una civiltà e di una classe che per secoli ha visto gli eventi ripetersi immutabili seguendo un percorso costante di nascita, crescita, amore, sofferenza e morte. Ogni cosa diveniva un simbolo, ogni avvenimento aveva tutto il tempo di acquisire un significato, ogni storia rappresentava un frammento della propria esistenza, ogni leggenda il fondamento di miti senza età.

Aerendil


Bibliografia:

YEATS William Butler, Fiabe Irlandesi, Ed. Einaudi, Torino, 1989.

HETMANN Frederik, Fiabe Celtiche e leggende di tutto il mondo, Ed. Arnoldo Mondatori, Milano, 1991.

CARRARA Lorenzo, Elfi e streghe di Scozia. Ed. Arcana, Milano, 1989.

 
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Dragongirl
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:wub: :wub: :wub: :wub:
Amo i celti! *_______*
 
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XD Ci avrei scommesso. u.u

 
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Bell'articolo. Concordo ci sarebbe tanto da dire su di loro e si sa anche davvero poco sul loro popolo. Perfino gli archeologi a volte rimangono perplessi dai ritrovamenti effettuati.
 
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^^ Se avete altre informazioni, postatele pure.
 
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